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Chi ha inventato lo Champagne?

Dal genio di Dom Pérignon alle sfide di Madame Clicquot: un viaggio tra le famiglie, gli aneddoti ed i luoghi simbolo della Champagne.




Storie intrecciate di genio, coraggio e perseveranza tra vigne, guerre e sogni di bollicine



Dalla leggenda di Dom Pérignon alla nascita di un mito



La storia dello champagne non è una linea retta. Non c’è un unico inventore, nessun “padre assoluto” di questa magia in bottiglia. C’è, però, un mosaico di volti, mani, famiglie e sogni intrecciati che, nei secoli, hanno trasformato una regione fredda e difficile in uno dei simboli assoluti del vivere bene.


Tutto parte da una leggenda, quella di Dom Pérignon.

Monaco benedettino, fine Seicento. Lo immaginiamo nella sua abbazia di Hautvillers, tra i filari grigi e nebbiosi della Champagne. La storia popolare dice che fu lui ad inventare le bollicine . In realtà, la sua sfida era l’opposto: cercava di eliminarle, perché allora la rifermentazione in bottiglia era vista come un errore che poteva far esplodere i preziosi vetri.

Ma Dom Pérignon, con la sua meticolosità, insegnò a selezionare le uve migliori, a mischiare i vitigni (il celebre blend), a usare tappi di sughero, ed a spingere verso la qualità. Si racconta che gridò: “Vieni presto, sto bevendo le stelle!” Probabilmente non lo disse mai. Ma la suggestione resta: lo champagne è, da allora, una poesia liquida che guarda il cielo.


Madame Clicquot: la vedova che ha cambiato tutto



Se lo champagne ha un volto femminile, è quello di Barbe-Nicole Ponsardin, la Veuve Clicquot.

Rimasta vedova a soli 27 anni, senza alcuna esperienza, si trovò improvvisamente alla guida della maison di famiglia. In un’epoca in cui le donne non gestivano affari, Barbe-Nicole fu una rivoluzionaria silenziosa.

Inventò la remuage: un sistema ingegnoso per eliminare i depositi dal fondo delle bottiglie, dando limpidezza alle bollicine. Con ostinazione, portò le sue bottiglie oltre la cortina delle guerre napoleoniche, facendole arrivare fino in Russia.

Quando lo Zar brindò con Veuve Clicquot, lo champagne divenne simbolo di vittoria e festa. Ma dietro la gioia c’erano fatica, rischio, scelte coraggiose. Madame Clicquot non solo ha salvato la sua azienda, ma ha cambiato la storia dello champagne per sempre.


La guerra delle famiglie e l’arte del terroir


La Champagne è una terra difficile.

Clima rigido, grandine, gelate. E nonostante tutto, da qui sono nati miti come Moët & Chandon (la maison di “Moeco” come la chiamano a Reims, con le sue interminabili cantine sotterranee), Louis Roederer (creatore della celebre Cristal), Bollinger, Perrier-Jouët, Pol Roger, Taittinger, Salon e molte altre.



Ognuna di queste famiglie ha una storia fatta di ostinazione, qualche follia, ed una capacità fuori dal comune di leggere la terra e capire i tempi.

Louis Roederer, per esempio, intuì l’importanza dei mercati internazionali ed inventò nel 1876 il Cristal, uno champagne creato apposta per lo Zar di Russia, con la bottiglia trasparente ed il fondo piatto per evitare veleni.

Eugène-Aimé Salon, invece, era un visionario che non amava i compromessi: voleva uno champagne puro, solo da uve Chardonnay, e nacque così il leggendario Salon Blanc de Blancs.


Tra alleanze e rivalità, queste famiglie hanno combattuto battaglie di prezzo, di prestigio e di stile. Si racconta che una delle lettere più dure fu scritta da Madame Bollinger ad un concorrente che aveva tentato di copiare una delle sue etichette. C’è chi dice che la vera forza della Champagne sia sempre stata questa tensione: ogni famiglia voleva superare l’altra, ma nessuno voleva perdere la reputazione della regione.



I piccoli eroi: Récoltant-Manipulant (RM) e la rivoluzione della qualità


Non ci sono solo grandi marchi.

Negli anni, sono emerse centinaia di piccoli produttori (i cosiddetti récoltants-manipulants), spesso famiglie che lavorano le proprie uve, curano ogni bottiglia, e raccontano una Champagne meno scintillante, ma più vera.


Maison come Jacques Selosse, Pierre Peters, Agrapart, Bérêche, Gaston Chiquet sono diventate mete di pellegrinaggio per chi cerca il lato più autentico della regione.

Qui si parla poco, si lavora molto, e si lascia che sia il vino a spiegare il territorio.


Lettere di vigneto: il segreto dietro ogni bottiglia


Ogni casa storica della Champagne possiede, difende e si tramanda lettere di vigneto (cioè gli appezzamenti che portano i nomi storici: Clos, Cramant, Bouzy, Avize, Ay, ecc.).

Sono appezzamenti minuscoli, spesso circondati da muri, ognuno con il suo carattere: più minerale, più agrumato, più potente.

Moët & Chandon controlla decine di villaggi, la Veuve Clicquot si vanta dei suoi Clos storici, Bollinger custodisce le sue vigne a Aÿ come una reliquia, Salon ha solo un minuscolo fazzoletto a Le Mesnil-sur-Oger.

Queste lettere di vigneto sono il vero DNA di ogni champagne: sono storie di famiglia, guerre legali, matrimoni combinati e battaglie per ogni filare.



Da bollicina “difetto” a mito del mondo



Lo champagne ha rischiato di scomparire mille volte: crisi economiche, guerre mondiali (le cantine usate come rifugi durante i bombardamenti), mode che andavano e venivano.

Ma ogni crisi ha portato una svolta. Quando la Champagne fu invasa nella Grande Guerra, le donne guidarono la produzione, gli uomini combattevano, e la regione imparò a sopravvivere reinventandosi ogni volta.


Il segreto?

La perseveranza. L’ostinazione.

Tutte le grandi famiglie, anche quelle meno conosciute come Gosset (la più antica, dal 1584), Deutz, Henriot, Lanson, hanno superato periodi neri a forza di ostinazione, lavoro di squadra e quella misteriosa magia che nasce solo tra le vigne fredde della Champagne.


Un tour nella Champagne: percorso tra mito e realtà




Se volete scoprire la vera Champagne, il consiglio è di percorrerla come un pellegrinaggio laico:


  1. Reims – Inizia dalle cantine di Veuve Clicquot e Pommery, grandi gallerie scavate nel gesso, chilometri di storia e bottiglie che riposano nel buio.

  2. Épernay – Passeggia nell’Avenue de Champagne, tra i palazzi di Moët & Chandon, Perrier-Jouët e Pol Roger. Ogni maison ha una visita diversa, tra arte, architettura e degustazione.

  3. Ay e Aÿ-Champagne – Qui trovi la storica sede di Bollinger e piccoli produttori come Gosset.

  4. Le Mesnil-sur-Oger – Santuario di Salon e del vero Chardonnay.

  5. Villaggi Grand Cru – Fermati da un récoltant-manipulant, chiedi di assaggiare vini diversi dalla stessa annata e ascolta le loro storie di famiglia.


Ogni tappa è un racconto: bottiglie firmate, archivi di lettere, fotografie di epoche passate, ed una convivialità mai scontata.


La vera invenzione dello champagne non sta nelle bollicine, ma nella capacità di non arrendersi mai.

Questa regione ha trasformato ogni ostacolo in occasione.

Le famiglie della Champagne – grandi e piccole hanno scritto pagine di storia col sudore, con l’ingegno, con qualche segreto.

Ogni bottiglia, dietro l’etichetta, contiene storie di passione, rivalità, ed una perseveranza che oggi ci fa brindare alla vita.


Non esiste uno champagne uguale ad un altro. C’è solo il racconto di chi, ogni giorno, ci ha creduto davvero.



Tra cinema, passione personale ed il valore eterno dello champagne


Il recente film “Madame Clicquot” ha riacceso l’attenzione sulla figura della vedova Clicquot e su quanto sia stata rivoluzionaria la sua presenza in un mondo, quello dello champagne, fatto di tradizione e cambiamento continuo. Guardando quel film ho ritrovato lo spirito di tante storie della Champagne: ostinazione, scelte coraggiose, passione per un prodotto che non è mai solo vino, ma racconto e destino insieme.

Personalmente, tra i miei champagne del cuore c’è Louis Roederer. Lo apprezzo anche nelle versioni “base”, come il Brut Premier: è sempre coerente, mai scontato, capace di emozionare anche senza grandi proclami.




Ma quando si parla di Cristal, lì entra in gioco un altro livello: il Cristal 2009, che conservo gelosamente, rappresenta per me il senso stesso della ricerca della perfezione. Il 2009 è stata una stagione eccezionale, calda e generosa, e questa annata si distingue per ricchezza, equilibrio, freschezza: è uno champagne che ogni anno sale di valore, anche per gli investitori, come dimostra il suo andamento sul mercato secondario, con crescite importanti.

Ma perché alcune bottiglie portano l’anno in etichetta, mentre altre no?

La risposta sta nella filosofia della maison e nella natura stessa dello champagne. La maggior parte degli champagne sono “non millesimati” (non d’annata): sono un blend di più raccolti, pensati per garantire uno stile ed una qualità costante anno dopo anno, anche se il clima varia. Questo è il motivo per cui puoi comprare un Moët, un Veuve Clicquot od uno stesso Roederer Brut Premier e ritrovare sempre la “firma” riconoscibile della casa, a prescindere dal tempo.

Al contrario, i grandi champagne d’annata (“millesimati”) vengono prodotti solo nelle annate ritenute eccezionali. Qui il produttore decide che la qualità delle uve è talmente alta che vale la pena imbottigliare solo il raccolto di quell’anno, senza tagliarlo con altri. Sono champagne che raccontano il carattere unico di una stagione. Il Cristal 2009, ad esempio, rispecchia perfettamente le condizioni climatiche di quell’anno, ed è per questo che la bottiglia stessa diventa quasi un documento storico, oltre che un investimento.



Tra i miei champagne preferiti non posso non citare anche Argonne.

Si tratta della cuvée di punta della Maison Henri Giraud, uno dei nomi più rispettati tra gli intenditori.

Argonne si distingue per una produzione limitata e meticolosa, realizzata solo nelle migliori annate ed affinata in botti di rovere provenienti dalla foresta di Argonne, una scelta che dona complessità e struttura uniche al vino.

Lo stile è ricco, profondo, con note di frutta matura, spezie, legno elegante ed una mineralità sempre presente che ricorda la Champagne più autentica.

La Maison Henri Giraud lavora in modo artigianale, controllando ogni dettaglio dalla vigna alla bottiglia, privilegiando pratiche sostenibili ed una vinificazione rispettosa del terroir.

Ogni bottiglia di Argonne è un’esperienza: potenza, eleganza, e una firma gustativa inconfondibile, tra i vertici assoluti per qualità e personalità.

Per chi cerca emozioni vere in un calice di champagne, Argonne rappresenta una delle espressioni più alte e personali della regione.

In questi anni si è forse esagerato con la guerra dei marchi più blasonati, ma la Champagne resta un universo vastissimo: accanto a maison famose come Moët, Bollinger, Pol Roger, Salon, ci sono tanti piccoli produttori come Jacques Selosse, Pierre Péters, Agrapart, che fanno vini strepitosi, spesso a loro volta d’annata, con personalità e carattere da vendere.



Conservo ancora una bottiglia di Dom Pérignon della mia annata, il 1973, anche se il tempo le ha tolto 7-8 cm di prodotto. Non la apro, perché è molto più di una bottiglia: è un frammento di ricordo, legato , a momenti che restano impressi e che non torneranno.


C’è un dettaglio che pochi conoscono , ma che racconta molto della storia dello champagne: sulle bottiglie di Dom Pérignon un tempo si leggeva anche “Moët & Chandon”. Oggi questa scritta è sparita quasi del tutto dalle etichette.

Perché è successo?

Dom Pérignon nasce come cuvée di prestigio all’interno della maison Moët & Chandon, che iniziò a produrlo a partire dagli anni ’30.


Per decenni, l’etichetta riportava chiaramente il collegamento: in piccolo, sopra il nome Dom Pérignon, c’era sempre scritto “Moët & Chandon”.

Intorno alla fine degli anni ’80 ed inizio anni ’90, la maison ha deciso di togliere dal fronte la scritta “Moët & Chandon”. L’obiettivo era chiaro: dare a Dom Pérignon un’identità autonoma, indipendente, costruendo un’aura ancora più esclusiva e “leggendaria” attorno al nome Dom Pérignon, separandolo dall’immagine più commerciale della casa madre.

Dal 1990 in poi, sulle etichette frontali delle bottiglie nuove, il riferimento diretto a Moët & Chandon non compare più, restando solo nei documenti ufficiali, sui retro-etichetta o sulle confezioni in alcuni mercati.

Questa scelta ha permesso a Dom Pérignon di posizionarsi definitivamente come brand di lusso a sé stante, un mito all’interno del mito, pur rimanendo di fatto parte della grande famiglia Moët Hennessy-Louis Vuitton (LVMH).

Un dettaglio piccolo, ma che dice molto su come nasce la leggenda di un marchio.


In fondo, lo champagne è tutto questo: memoria, energia, racconto. Ogni bottiglia è una pagina di storia, una scommessa sul futuro, una gioia che si rinnova ad ogni brindisi. Ed è per questo che resta unico, sempre.

MV

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