top of page

Collaborare sulle idee: missione impossibile ?

Immagine del redattore: Massimiliano ValenteMassimiliano Valente



Ogni volta che cerco alleati per realizzare un’idea innovativa, mi scontro con la stessa realtà scoraggiante: costruire sinergie basate sulle idee ed i concetti è diventato incredibilmente difficile. E dire che sono sempre stato convinto che l’unione di più menti potesse generare innovazione e valore aggiunto.

Negli ultimi anni ho provato più volte ad avviare collaborazioni lavorative sui miei progetti, eppure, nonostante l’entusiasmo iniziale, quei tentativi si sono spesso infranti contro ostacoli inattesi ed una diffidenza dilagante.


La paura dell’incertezza frena la collaborazione


Nel mondo del lavoro, la paura dell’incertezza sembra ormai aver preso il sopravvento sulla voglia di costruire qualcosa di nuovo. Più di una volta ho visto potenziali partner, inizialmente entusiasti di un concetto innovativo, tirarsi indietro al primo soffio di dubbio. Invece di valutare un progetto per la sua visione e le sue potenzialità a lungo termine, si lasciano guidare da impressioni a caldo e timori immediati.

Basta una minima mancanza di garanzie perché subentri la diffidenza: in un clima lavorativo dominato dall’ansia per il futuro, l’atteggiamento prevalente diventa meglio non rischiare.


Anche quando tra le mani c’è un’idea promettente, affiorano puntualmente domande come: “E se non funzionasse ? E se investissimo tempo e risorse per nulla?”. Questa rigidità mentale, alimentata dall’ansia per l’ignoto, è proprio ciò che incontro costantemente lungo il mio percorso.


Piccole imprese, innovazione sacrificata


Accanto a questa cultura della paura c’è la cruda realtà dell’instabilità economica. Le piccole aziende oggi sono costrette a concentrare ogni energia sul loro core business semplicemente per sopravvivere. Me ne accorgo ogni volta che provo a coinvolgere una piccola impresa in un progetto innovativo: per quanto l’idea possa interessare, alla fine prevale la necessità di occuparsi di ciò che mantiene le luci accese. “In questo momento dobbiamo pensare solo a quello che paga le bollette” è una frase che mi sono sentito ripetere più volte.


In tempi incerti e con budget risicati, qualsiasi iniziativa che esuli dal cuore dell’attività aziendale viene percepita come un lusso o, peggio, come una distrazione pericolosa. Lo spazio per la sperimentazione e l’innovazione si riduce così al minimo, fino quasi a scomparire. Non sorprende quindi che molta innovazione nasca ormai quasi esclusivamente dove esistono risorse consistenti e si possono correre rischi calcolati: in altre parole, all’interno delle grandi aziende già affermate.


Coincidenza o strategia deliberata?


A questo punto non posso fare a meno di chiedermi se questa situazione sia soltanto una combinazione sfortunata di paure individuali e condizioni di mercato, oppure il risultato di qualcosa di più deliberato. La percezione diffusa di insicurezza potrebbe non essere del tutto spontanea. Se l’incertezza diventa uno spauracchio costante, a chi giova se non a chi ha già le spalle larghe per affrontarla?


Chi avrebbe interesse a un panorama in cui l’innovazione indipendente fatica ad emergere? Forse proprio quei grandi attori che dominano il mercato. In un ecosistema dove solo loro possono permettersi di innovare, si riduce drasticamente il rischio che un piccolo outsider con un’idea rivoluzionaria sconvolga gli equilibri. Così, volenti o nolenti, ci ritroviamo in un mondo in cui i talenti fuori dai circuiti delle multinazionali vengono raramente alla luce, ed idee nuove restano spesso confinate all’interno dei soliti colossi.


La provocazione finale è inevitabile: se oggi nascesse un nuovo Leonardo da Vinci, il sistema lo riconoscerebbe come genio oppure lo soffocherebbe prima ancora che il suo genio potesse manifestarsi?


Pensieri, parole, azioni: ciò che pensiamo, diventiamo


Ciò che pensiamo diventiamo

Di fronte a questo scenario, mi torna in mente una riflessione che trovo più attuale che mai:


“Cura, i pensieri diventeranno parole. Cura le tue parole, diventeranno le tue azioni. Cura le tue azioni perché diventeranno abitudini. Cura le tue abitudini perché diventeranno il tuo carattere e cura il tuo carattere perché diventerà il tuo destino. Quello che pensiamo, diventiamo.”


Ed allora mi chiedo: cosa stiamo diventando oggi? Se il pensiero guida l’azione e l’azione diventa il nostro futuro, quale futuro ci stiamo costruendo se abbiamo smesso di pensare davvero?


Uno dei grandi problemi del nostro tempo è che siamo governati da persone che danno più peso alle sensazioni piuttosto che ai concetti ed alle idee. Questo vale nella politica, nella società e soprattutto nel mondo del lavoro. Siamo immersi in un sistema che premia l’immediatezza emotiva e scoraggia la riflessione profonda. Abbiamo sostituito la razionalità con la reattività, la visione strategica con la gestione dell’emergenza, il pensiero critico con il conformismo.


Nel mondo del lavoro, questo significa che non si costruisce più su solide idee, ma su impressioni fugaci. Progetti potenzialmente rivoluzionari vengono scartati perché non generano un impatto immediato o perché “non è il momento giusto”. E così, ci ritroviamo con un sistema che non valorizza il talento e non premia l’innovazione, ma favorisce la conservazione dello status quo.


Il futuro appartiene a chi riprende il controllo del proprio pensiero


Se quello che pensiamo, diventiamo, allora è il momento di riprenderci il diritto ed il dovere di pensare. Di tornare a dare valore ai concetti e non solo alle impressioni. Di scegliere con cura quali pensieri alimentiamo, perché saranno loro a determinare il nostro futuro.


Nel lavoro, nelle collaborazioni, nei progetti, serve un cambio di rotta. Serve il coraggio di credere nelle idee, di coltivare visioni a lungo termine, di sfidare la logica dell’immediato e dell’effimero. Serve smettere di chiedersi solo “Come mi sento in questo momento?” ed iniziare a domandarsi “Qual è il valore di ciò che sto costruendo?”.


Solo così potremo creare un mondo in cui, se un nuovo Leonardo Da Vinci dovesse nascere,potrà essere riconosciuto, ascoltato .

Ma per farlo, dobbiamo tornare a pensare davvero. Perché il pensiero è l’unica cosa che può cambiare il nostro destino.


Comments

Rated 0 out of 5 stars.
No ratings yet

Add a rating
bottom of page