Essere ? avere ? : Il patrimonio invisibile che definisce ciò che possiamo dare
- Massimiliano Valente
- 23 mag
- Tempo di lettura: 5 min

“Solo chi ha può dare, non chi è”: una frase che risuona nella mente di chi vive secondo la logica del possesso materiale. Eppure, c’è una profonda verità nascosta dietro il suo opposto: “Solo chi è può dare davvero qualcosa di significativo”.
Da sempre, l’umanità si confronta con questa dualità: da un lato la ricerca continua dell’accumulo, del possesso, dell’avere; dall’altro, il desiderio di diventare, essere, crescere nella propria essenza.
Avere: una ricchezza illusoria
Chi vive centrato sull’avere è mosso da un incessante bisogno di accumulare. Beni, oggetti, ricchezze materiali. Il possesso diventa l’identità stessa della persona. Le società moderne alimentano incessantemente questo meccanismo, spingendoci a credere che ciò che possediamo definisca chi siamo.
Ma qual è davvero la natura di questa ricchezza? Pensiamo a figure storiche famose per le loro immense fortune materiali, ma spesso ricordate con freddezza per l’aridità emotiva e la superficialità delle loro relazioni personali. L’imperatore Nerone, estremamente ricco, ricordato però più per i suoi eccessi che per la sua capacità di dare qualcosa al mondo. Il possesso non è garanzia di generosità né di felicità interiore.
Essere: la ricchezza invisibile
Di contro, chi vive nel dominio dell’essere possiede un patrimonio intangibile, eppure di valore inestimabile: la saggezza, l’empatia, la sensibilità, la capacità di comprendere gli altri ed influenzarne positivamente l’esistenza. Pensiamo ai filosofi, ai poeti, ai mistici, a coloro che spesso hanno vissuto lontano dal potere e dalla ricchezza materiale, ma che hanno lasciato eredità spirituali ed emotive incalcolabili.
Figure come Socrate, che scelse la povertà materiale ma la cui filosofia ha attraversato i secoli; San Francesco d’Assisi, che rinunciò ai beni materiali per diventare simbolo universale di compassione e fratellanza; o Vincent Van Gogh, morto povero ed ignorato, ma la cui arte, impregnata di una struggente verità emotiva, oggi commuove milioni di persone.
La vera essenza del dare
Dunque, chi davvero può dare? Chi possiede o chi è? La differenza cruciale sta nella natura di ciò che si dona. Le ricchezze materiali possono essere trasferite, cedute, regalate, ma restano sempre limitate e finite. L’essenza interiore, invece, è inesauribile. Può essere condivisa infinite volte, moltiplicandosi nel dare stesso.
Uno strabiliardario può certamente offrire denaro, beni, risorse materiali. Ma quanto è profonda e duratura questa forma di dare? Qual è l’effetto reale e sostenibile rispetto al dono che può offrire una persona capace d’ispirare, amare profondamente, sostenere spiritualmente ed emotivamente? Il confronto non regge: il valore più profondo, duraturo e trasformativo viene sempre dal patrimonio invisibile dell’essere.
Lezioni dalla storia e dalla filosofia
La storia e la filosofia ci offrono esempi illuminanti. Platone, Aristotele, Buddha, Gesù Cristo, Gandhi, Madre Teresa: nessuno di loro fu ricco in senso materiale, ma tutti hanno donato qualcosa di immensamente prezioso, qualcosa che supera il tempo e le generazioni. La loro ricchezza era la profondità del loro essere, la forza delle loro idee, la purezza dei loro sentimenti.
La stessa filosofia esistenzialista moderna ci invita a superare la logica consumistica: Jean-Paul Sartre e Albert Camus ci ricordano che l’autenticità dell’essere umano non risiede nel possesso, bensì nella libertà di vivere secondo il proprio essere più profondo.
Un equilibrio perduto
Oggi, il mondo contemporaneo sembra spingerci sempre più verso l’accumulo. Eppure, osserviamo sempre più che chi possiede tanto non sempre vive felice o soddisfatto. Crisi esistenziali, depressioni ed ansie testimoniano la fragilità di una vita costruita esclusivamente sulla ricchezza materiale.
D’altro canto, molte persone che vivono semplicemente, senza l’ossessione del possesso, sperimentano una felicità profonda e durevole, trasmettendo pace e serenità a chi li circonda.
Il patrimonio invisibile
In definitiva, solo chi “è” veramente può dare in modo significativo e duraturo. Il possesso materiale, per quanto ampio, resta sempre limitato; ma la ricchezza dell’essere è inesauribile.
Essere o avere non sono soltanto due modi di vivere: sono due modi radicalmente diversi di guardare il mondo. Chi comprende questa differenza possiede il segreto della vera felicità e dell’autentico dono.
Essere o avere: la vera eredità che lasciamo
Ogni tanto, mentre la vita ci rincorre (o forse siamo noi a rincorrere lei), ci fermiamo a domandarci: che cosa resta davvero del nostro passaggio? Tutti, almeno una volta, ci siamo imbattuti in quel vecchio dilemma: meglio essere oppure avere?
Abbiamo già detto che l’avere è una ricchezza illusoria, che riempie la casa ma raramente il cuore. L’essere, invece, è una ricchezza invisibile: non la puoi mostrare con un bonifico, ma la vedi negli occhi di chi t’incontra.
Il paradosso è che chi vive per accumulare si ritrova spesso con tanto da mostrare ma poco da dire. L’accumulo diventa abitudine, difesa, a volte prigione. Il possesso chiama altro possesso, una corsa senza traguardo. C’è chi compra case, yacht, quadri, orologi, collezioni di oggetti che finiranno magari su una mensola od in qualche asta dopo la sua morte.
Ma cosa resta veramente di lui, o di lei?
La cronaca è piena di personaggi ricchissimi, eppure dimenticati due settimane dopo il funerale. L’avere non lascia traccia se non nei registri del notaio.
L’essere, invece, è un investimento strano: più lo condividi, più cresce. Il vero capitale sta nella capacità d’emozionare, d’ispirare, di lasciare un segno nella memoria altrui. Chi vive per l’essere non possiede quasi mai nulla di concreto, eppure chi lo incontra ne porta il ricordo per anni.
Pensiamo a Socrate, a San Francesco, a chi ha dato tutto e non ha mai avuto nulla, ma ci parla ancora. L’essenza di queste persone si trasmette come una sorta di patrimonio genetico dell’umanità, invisibile eppure potentissimo.
E qui arriva la domanda chiave, quella che chiude tutti i conti, anche quelli che spesso non vogliamo guardare: cosa ci portiamo via domani?
Quando chiuderemo la porta della vita, con che bagaglio usciremo ?
Una cassaforte piena od un’anima potente ?
Alla fine, resta sempre la stessa equazione: tutto quello che accumuliamo resta qui, tutto quello che siamo – la gentilezza data, l’ascolto sincero, la risata offerta, la carezza data quando serviva : quello sì che parte con noi, e forse resta negli altri.
Alla luce della nostra fine mortale, fate voi i conti: quale delle due esistenze può davvero lasciare di più?
Cosa rimane nella memoria di chi ci ha conosciuto: la lista dei nostri possedimenti , il ricordo di un gesto, di una parola, di un’emozione condivisa?
Io la risposta ce l’ho, ma mi piace pensare che ognuno ci arrivi da solo.
Forse è tutto qui il segreto: vivere per lasciare una traccia emotiva.
Lascio a voi l’equazione finale, ma occhio che il risultato non si trova su Google. , ma nella sezione dei ricordi.
La prossima volta che penseremo a ciò che potremo dare al mondo, forse dovremmo chiederci non “cosa abbiamo”, ma “chi siamo davvero”.
Perché solo chi è , può dare con autentificatà .
MV
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