top of page

Futuro, Silenzio, Niente – Le parole che c’ingannano




Ci sono parole che sembrano semplici, innocue, addirittura quotidiane. Le usiamo spesso, talvolta , convinti che comunichino chiaramente ciò che pensiamo. In realtà, sono termini che possono creare ambiguità e fraintendimenti, non solo con gli altri, ma soprattutto con noi stessi. È come se ogni tanto cadessimo nella trappola della suggestione linguistica, scegliendo parole che invece di chiarire, confondono.


La comunicazione, infatti, è fatta di sfumature. Queste sfumature si amplificano quando affrontiamo temi profondi, come quelli legati al tempo, al silenzio, al nulla. In questi momenti, la parola smette di essere uno strumento neutro, e diventa una suggestione: qualcosa che crediamo di controllare ma che invece, proprio nel momento cruciale, ci sfugge.



Quando le parole diventano suggestioni



Capita a tutti. Pensiamo di esprimerci chiaramente, di avere il pieno controllo del significato delle parole che pronunciamo. Eppure, a volte le parole ci sfuggono di mano. Le proiettiamo dentro discorsi importanti, convinti che siano appropriate, ma in realtà distorcono il senso di quello che vogliamo davvero dire. Il problema nasce perché alcune parole hanno un significato soggettivo molto forte, che cambia in base a chi ascolta. Così la comunicazione diventa difficile e spesso impossibile.


Un esempio concreto. Se dico: «voglio parlare del nostro futuro», intendo probabilmente una discussione sul domani, sulla crescita personale, professionale od affettiva. Ma chi mi ascolta potrebbe percepire questa parola diversamente. Magari per qualcuno il futuro è carico di ansia, aspettative , d’incertezze. Per un altro può rappresentare semplicemente un concetto astratto, un tempo che non esiste ancora. La stessa parola quindi suggerisce scenari completamente diversi, creando fraintendimenti.



Futuro: una parola che ci sfugge



“Futuro” sembra una parola chiara, precisa. Indica un tempo che deve ancora arrivare. Eppure, appena la pronunciamo, il futuro diventa ambiguo. La nostra mente immagina scenari possibili, suggestioni che alterano la realtà concreta. Pronunciando la parola, già la stiamo modificando, proiettando su di essa desideri, paure , aspettative personali. Così finiamo per ingannare noi stessi, parlando di qualcosa che, appena nominato, smette già di essere futuro.



Silenzio: la suggestione del nulla sonoro



“Silenzio” è un altro esempio evidente. È una parola che dovrebbe indicare assenza di suono. Ma la suggestione legata al silenzio è enorme. Quando diciamo: “Facciamo silenzio”, spesso carichiamo questa frase di un’intensità emotiva che rompe immediatamente quello stesso silenzio che vorremmo creare. Il silenzio evocato diventa subito pesante, significativo, denso di aspettative e sensazioni. E questa pesantezza emotiva può confondere, anziché chiarire.



Niente: il paradosso della suggestione vuota



E poi c’è “Niente”, forse la più complicata delle tre parole. “Non ho niente da dire”, diciamo, ma nel farlo stiamo già dicendo qualcosa di preciso, di profondo. Questa parola crea un paradosso continuo: nel momento stesso in cui la utilizziamo, stiamo riempiendo il vuoto che vorremmo indicare. Il “niente” diventa subito sostanza , una suggestione di vuoto che porta con sé significati nascosti, implicazioni emotive e sociali.



Suggestioni che complicano la comunicazione



Queste parole mostrano chiaramente come la comunicazione non sia mai neutra. Quando affrontiamo temi importanti, profondi, ecco che le parole diventano suggestioni che ci portano inevitabilmente fuori strada. Crediamo di chiarire, ma in realtà stiamo complicando tutto.


La difficoltà nasce proprio da qui. Pensiamo di essere chiari, diretti, onesti. Ma siamo davvero consapevoli del significato che queste parole hanno per chi ci ascolta? Sappiamo davvero come risuonano nella mente altrui?



Comunicare meglio, conoscendo le suggestioni



La soluzione non è eliminare queste parole dal nostro vocabolario, ma essere consapevoli del loro potere suggestivo. Comprendere che ogni parola porta con sé una carica emotiva e personale. Comunicare bene significa accettare questa complessità, chiarirla, se possibile, e rispettarla sempre.


Quando parliamo del futuro, del silenzio o del niente, impariamo prima di tutto ad ascoltare le nostre stesse parole. Solo così, forse, riusciremo a comunicare davvero con gli altri, e soprattutto con noi stessi.


L’arte del comunicare non consiste solo nel parlare, ma soprattutto nell’ascoltare e capire cosa succede quando parliamo. È una danza delicata, dove ogni passo dev’essere calibrato, misurato. Comunicare davvero significa entrare in empatia con chi ci ascolta, immaginare come le nostre parole possano essere percepite. È qui che la comunicazione diventa una vera e propria arte: nel momento in cui sappiamo scegliere accuratamente parole e pause, silenzi e sfumature, trasformando il linguaggio da semplice mezzo informativo a strumento espressivo potente e preciso.

Nella complessità di quest’arte, c’è anche la capacità di correggere i nostri errori comunicativi. Dobbiamo accettare che a volte sbaglieremo, fraintenderemo e saremo fraintesi. Ma è proprio nella consapevolezza dei nostri limiti e delle nostre imprecisioni linguistiche che possiamo crescere come comunicatori e come persone. Riconoscere la forza e la fragilità della parola è il primo passo per una comunicazione autentica, chiara e realmente efficace.

MV

Comments

Rated 0 out of 5 stars.
No ratings yet

Add a rating
bottom of page