I veri automi siamo noi . Non l’intelligenza artificiale !
- Massimiliano Valente
- 7 giorni fa
- Tempo di lettura: 4 min

C’è un silenzio strano in questo tempo che viviamo. Non è il silenzio delle grandi attese, è il silenzio dell’abitudine. Una quiete assuefatta, come quella che precede certe sconfitte interiori, quelle che nemmeno fanno rumore.
Nel frattempo, sul tavolo della storia, qualcuno ha posato uno strumento che può fare da trampolino per la mente: l’intelligenza artificiale. Un’estensione del pensiero, quasi una protesi per chi ha smesso di pensare.
Eppure l’uomo guarda altrove. Non per distrazione, ma per scelta. Una scelta che non ha nemmeno il coraggio di dichiararsi. Una rinuncia silenziosa. Una cecità comoda.
Questa è la vera rivoluzione che ci sta passando accanto senza lasciar traccia. Non per difetto dello strumento, ma per debolezza della mente che lo rifiuta. Perché l’intelligenza artificiale non è per chi vuole risposte facili, è per chi ha ancora domande. E chi non se ne pone più, non è libero: è spento.
Nell’epoca dell’eccesso di potenziale , tutto è qui, davanti a noi: strumenti, dati, modelli, assistenza. Ma mancano gli occhi per vedere ed il coraggio di utilizzare . Siamo diventati sordi al richiamo del possibile, ciechi davanti all’evidenza. Ed è un paradosso feroce: mai come oggi l’uomo ha avuto così tanto, mai come oggi ha prodotto così poco con ciò che ha.
L’intelligenza artificiale è la dimostrazione vivente (perché quasi viva lo è davvero) che non è una questione di mezzi, ma di volontà. Di voglia di capire, di tentare, di sbagliare. E così, mentre una tecnologia progettata per affiancare la mente umana si evolve ogni giorno, l’uomo si disabitua al pensiero.
Non serve gridare al pericolo delle macchine. Bisognerebbe prima accorgersi della morte lenta dell’intelligenza umana, quella vera, fatta d’intuizione, di connessioni, di scintille interiori. Perché se oggi siamo arrivati a dover creare un’intelligenza artificiale, forse è perché la nostra si è smarrita.
Non siamo di fronte a le una nuova era tecnologica. Siamo davanti ad uno specchio. E non ci piace l’immagine che vediamo. L’IA è l’alibi perfetto: “sono le macchine a prendere il controllo”. No. Sei tu che hai mollato il timone da un pezzo !
Le menti che hanno cambiato la storia non avevano le risorse di oggi. Pensatori greci, alchimisti, visionari rinascimentali: gente che illuminava con candele e accendeva mondi. E tu? Hai luce ovunque e resti al buio.
Ci stiamo lamentando di uno strumento che fa domande scomode perché ci obbliga a guardare dove abbiamo fallito. L’IA non ruba lavoro. Ruba scuse. Ti dice in faccia che potevi fare di più, molto di più, ed hai scelto di non farlo.
Non è un tema tecnologico. È esistenziale. L’intelligenza artificiale è solo un grido: svegliati. Se non lo fai ora, quando?
Sei arrivato al massimo della facilitazione nella storia dell’umanità, e ti lamenti pure. Hai la chiave in mano e ti rifiuti di aprire. Stai scegliendo l’ignoranza con consapevolezza. Questo non è più errore, è rinuncia.
Alla fine, non sarà l’intelligenza artificiale a sopravvivere all’uomo. Sarà la testimonianza della sua sconfitta. Una targa digitale che dirà: l’umanità ha avuto tutto, es ha scelto il nulla.
Allora no, non è lei ad essere pericolosa. Siamo noi, con la nostra pigrizia mentale, il nostro rifiuto della complessità, il nostro orgoglio ignorante.
Il vero automa sei tu. L’IA almeno apprende, si aggiorna, si sforza. Tu ti lamenti.
E vi lamentate pure !
Questo articolo non è per celebrare l’intelligenza artificiale. È per mettere a nudo la nostra ! Perché quello che si vede è desolante.
La società dell’orticello e l’automa del comfort
C’è una certa poesia, apparente, nel vivere rintanati nel proprio orticello. Rincasando ogni giorno con la certezza presunta di un equilibrio che non esiste. È una sicurezza illusoria, come il riflesso di un sole su uno specchio rotto.
E dentro quel piccolo recinto mentale, ci si accontenta. Si rinuncia a pensare, a confrontarsi, a costruire.
Ma il pensiero isolato non genera connessioni. L’autosufficienza come ideale è un cortocircuito del senso umano. Il sapere, la creatività, l’intuizione sono doni collettivi: si nutrono nella relazione, si moltiplicano nella contaminazione.
Il paradosso è questo: si ha il meglio a disposizione, ma non si mette mai a sistema.
Ci si chiude, si invidia, si osserva il prossimo con sospetto. L’intelligenza artificiale, con tutta la sua freddezza, ha almeno un merito: è democratica. Livella le differenze, offre possibilità a chi non ha reti o conoscenze. È un pungolo, una provocazione, una sfida.
Ed è umiliante per chi ha avuto tutto ed ha scelto di assuefarsi. È più facile postare una foto ritoccata con mille filtri che elaborare un ragionamento vero. È più semplice apparire che costruire. Ma se è nato uno strumento così è perché ce n’era bisogno. Perché il pensiero collettivo si è atrofizzato, perché il silenzio intellettuale era diventato assordante.
Quando un’epoca crea un’intelligenza artificiale, è perché ha esaurito la propria.
Ogni civiltà, quando raggiunge l’eccesso ed arriva a basarsi sull’artificialità , implode. E come sempre, dopo l’illusione, arriva la pietra. La verità nuda. Sporca. Primaria. La domanda, dunque, non è dove stiamo andando. Ma se siamo ancora capaci di accorgerci di esserci già persi.
L’interruttore è ancora lì
Ci siamo abituati a tutto. Alla velocità, alla sovrabbondanza, alla connessione continua che non connette più nulla. Ci siamo assuefatti persino allo stupore. Come chi ascolta il suono di un violino mentre scorre il traffico: non sente più, non vede più, non pensa più.
La mente si è fatta molle, il pensiero raro, il silenzio pieno di rumore. Abbiamo spento la luce, e ci siamo convinti che fosse il mondo ad essersi oscurato.
Eppure l’interruttore è ancora lì. Non fuori, ma dentro. Serve un gesto. Un atto minimo, ma rivoluzionario: voler vedere. Voler capire. Voler essere.
Non è la macchina che ci ha superati. Siamo noi che abbiamo smesso di camminare.
Ora, basta un clic. Non per accendere un device. Ma per riaccendere se stessi.
Nota:
Quando uso espressioni riflessive e parlo in prima persona plurale, non mi sto rivolgendo a qualcuno in particolare. È una scelta narrativa, una forma volutamente amplificata per rendere l’idea. Un uso consapevole dell’iperbole e dell’ossimoro, utile a stimolare una riflessione, non un’accusa.
MV
Sono d’ accortissimo . Purtroppo l’analfabetismo funzionale è stato causato dall’eccessivo utilizzo dei social e dei PC… non sappiamo più scrivere, quello che leggiamo viene dimenticato o a volte non compreso, eccetera eccetera.