L’incoscienza : Il riflesso distorto del coraggio
- Massimiliano Valente
- 29 mar
- Tempo di lettura: 6 min

L’incoscienza somiglia al coraggio, ma ne è soltanto la caricatura, un riflesso distorto, una copia sbiadita di una virtù autentica. Dove il coraggio è silenzioso, consapevole e profondo, l’incoscienza è rumorosa, impulsiva, improvvisata. Ma ad uno sguardo distratto possono sembrare sorelle: entrambe muovono l’essere umano all’azione, lo spingono oltre una soglia, lo portano a scegliere, a rischiare, ad agire. Eppure, l’origine è radicalmente diversa.
Il coraggio ( come abbiamo visto nel precedente articolo ) è frutto di un processo ; matura dentro, si costruisce nel tempo, come un muscolo invisibile che si rafforza ogni volta che affrontiamo le nostre paure con lucidità. Il coraggio ascolta, valuta, prende posizione. È il risultato di una progressiva armonia tra volontà e consapevolezza. L’incoscienza, al contrario, è immediata, disordinata, impaziente. Nasce dall’assenza di elaborazione. È figlia dell’impulso, di un’emozione non filtrata, di un bisogno momentaneo che grida più forte di tutto il resto.
In questo senso, l’incoscienza è un coraggio falsato. Una maschera che copre l’incapacità di attendere, di osservare, di comprendere il contesto. Non è una forza che spinge verso la nostra vocazione come lo è il vero coraggio ma una fuga da noi stessi, dalla responsabilità, dal peso del pensiero. Non porta alla realizzazione, ma spesso alla confusione, all’errore, al rimpianto.
Chi agisce per incoscienza non sceglie davvero: reagisce. E questo è un punto cruciale. La reazione non è mai pienamente libera. È una difesa, un riflesso, un bisogno travestito da decisione. È un’azione che non nasce da un centro stabile, ma da una zona caotica e sfuggente del nostro essere.
Agire in modo incosciente può sembrare, in apparenza, un gesto audace. Ma in realtà è come attraversare un ponte senza sapere se c’è davvero una sponda dall’altra parte. Ci si lancia, spesso solo per il gusto di farlo, per sentire qualcosa, per colmare un vuoto, o per dimostrare qualcosa a qualcuno (soprattutto a sé stessi). E questo meccanismo ha un prezzo.
L’incoscienza ci espone all’errore come regola, non come eccezione. È un tiro lanciato nel buio. A volte può andare bene il colpo fortunato, la combinazione giusta, la salvezza momentanea. Ma se mettiamo l’incoscienza al centro delle nostre decisioni, se ne facciamo un metodo di vita, il conto arriverà sempre ; perché la fortuna può assisterci dieci volte, ma basta una volta una sola per crollare. E quella volta può costarci molto: una relazione, un lavoro, una reputazione, o anche solo la fiducia in noi stessi.
L’incoscienza e le sue forme: leggerezza ed autodistruzione
L’incoscienza non è sempre uguale. Assume forme diverse, si adatta alle personalità, agli stili di vita, ai momenti. È mimetica, subdola, e per questo ancor più insidiosa. Ma possiamo riconoscerne almeno due grandi manifestazioni: una più superficiale, apparentemente innocua; l’altra più radicale, e quindi profondamente distruttiva.
1. L’incoscienza “spensierata”: quando tutto sembra un gioco
È quella di chi vive la vita con leggerezza, e fa dell’assenza di profondità una scelta sistemica. Qui l’incoscienza non nasce da una ribellione, ma da un approccio al mondo che rifiuta la fatica del pensiero, il peso delle responsabilità.
“Non voglio complicarmi la vita”, “alla fine va sempre tutto bene”, “non è un problema mio”… sono i mantra inconsapevoli di chi vive così.
Questo tipo di incoscienza è spesso socialmente accettata, anzi in certi ambienti è perfino valorizzata: chi vive “easy” è simpatico, chi non si pone problemi è “smart”, chi ride davanti a tutto è invidiato. Ma questa leggerezza, se non è sostenuta da consapevolezza, prima o poi diventa vuoto. E quando arriva un ostacolo reale una malattia, un imprevisto, una perdita, una crisi; chi ha sempre volato sopra le nuvole non sa dove atterrare.
È una forma di leggerezza che porta, lentamente, verso un’apatia esistenziale. Si smette di vedere il contesto, si smette di ascoltare gli altri, si vive in una bolla dove si reagisce solo a stimoli immediati. Non si costruisce nulla. E questo, nel tempo, corrode il senso stesso di vivere.
2. L’incoscienza “autolesionistica”: quando il piacere momentaneo vale più di tutto
Questa è l’incoscienza più pericolosa. Quella che si manifesta sotto forma di edonismo compulsivo, di fuga, di bisogno irrefrenabile di sensazioni forti. È la forma che più si avvicina all’autodistruzione.
In questo caso, l’incoscienza si veste di trasgressione, di ribellione, di sfida: “Io faccio ciò che voglio”, “nessuno può fermarmi”, “non ho bisogno di regole”. Ma sotto queste frasi si nasconde quasi sempre una ferita, un’assenza, un conflitto irrisolto.
L’incosciente edonista mette in gioco tutto per un attimo di piacere, di evasione o di conferma. Rischia lavoro, relazioni, salute. Spesso confonde il rischio con la libertà, quando in realtà è prigioniero delle proprie pulsioni.
Ed è qui che l’incoscienza incontra la presunzione: la convinzione di essere sempre al di sopra delle regole, di poter sfidare la vita e vincere ogni volta.
Ma nessuno è invulnerabile. E proprio chi si sente invincibile è spesso quello che cade peggio. Quando si vive ai margini del limite, basta un piccolo errore, una distrazione, una coincidenza sfortunata… ed è il disastro. Ed è allora che si comprende, spesso troppo tardi, che l’incoscienza non era libertà. Era dipendenza dal rischio. Una spirale che trascina giù, lentamente o di colpo.
Incrocio tra incoscienza e superficialità
In entrambi i casi, l’incoscienza è un’interruzione del legame con la realtà. Si perde il contatto con il contesto, con le conseguenze, con le persone. Si vive sulle nuvole. Si agisce come se si fosse soli al mondo, come se nulla potesse accadere. Ma accade. Sempre.
Anche in ambito professionale, questo si manifesta con comportamenti assurdi: come nel caso di strutture alberghiere senza presidio notturno. Aprire decine di B&B e lasciare tutto in balìa del caso senza pensare che qualcuno possa star male, avere bisogno : è una forma estrema di incoscienza applicata al business. Non è spirito imprenditoriale. È cecità. È mancato senso del dovere. È giocare alla roulette con la responsabilità.
L’incoscienza : tra educazione, risveglio e possibilità di redenzione
Non si nasce incoscienti.
L’incoscienza si forma, si costruisce, si impara o meglio, si eredita da un vuoto educativo, da un contesto sbilanciato, da un’assenza di riferimenti. In certi casi, è perfino indotta, favorita da una società che premia l’immediatezza, la performance, il “tutto e subito”, e che svaluta profondità, lentezza, sacrificio e responsabilità.
L’incoscienza ha però un momento critico in cui tende a manifestarsi in tutta la sua potenza: l’adolescenza.
L’adolescenza: il momento in cui il palloncino rischia di volare via
Tra i 15 e i 18 anni, l’essere umano vive una tempesta interna fatta di emozioni nuove, ormoni, identità ancora fragili. È qui che l’incoscienza si mostra come una forza apparentemente vitale: la spinta a fare qualcosa di folle, il bisogno di dimostrare qualcosa, il desiderio di libertà assoluta.
In questa fase, l’incoscienza non è colpa. È una condizione naturale, quasi necessaria, come un fuoco che serve a forgiare la personalità. Ma proprio per questo motivo, è fondamentale il ruolo degli adulti.
Famiglia, educatori, guide: in questa fase sono l’ancora del palloncino. Non devono trattenere, ma nemmeno lasciar volare via senza direzione. Lì, in quel punto critico, si decide molto del futuro. Se manca quel sostegno, se manca quella voce che dice “rifletti”, “ascolta”, “rispetta”, allora il rischio è che il giovane identifichi l’incoscienza con la libertà. E quella confusione può durare decenni.
Il trauma: quando la realtà costringe a vedere
Spesso, chi vive in una condizione di incoscienza prolungata riesce ad uscirne solo in seguito a un trauma.
Una perdita, un errore grave, un fallimento che scardina le certezze. In quel momento, la persona si trova nuda davanti alla realtà. Tutte le giustificazioni crollano. Non ci sono più maschere. E lì, talvolta, nasce la consapevolezza.
Ma è un risveglio doloroso. Perché richiede il confronto con sé stessi. Significa ammettere che si è vissuto per anni seguendo una corrente sbagliata. Che si sono ferite persone, sprecate opportunità, danneggiati progetti. Ma proprio da lì, può nascere una nuova forma di forza: l’umiltà.
Chi riesce a fare questo salto, a trasformare il trauma in presa di coscienza, a rielaborare i propri errori, può davvero cambiare. Può iniziare a coltivare il coraggio vero, quello lento, consapevole, costruttivo.
La via d’uscita: ascolto, contesto e visione
Il contrario dell’incoscienza non è solo il coraggio. È la presenza a sé stessi.
Significa tornare ad ascoltarsi, ma anche ad osservare. Capire dove ci si trova, con chi si ha a che fare, quali sono le conseguenze di ogni gesto. Non è paranoia, non è rigidità. È attenzione. È rispetto. È un movimento sincronizzato tra ciò che si è dentro e ciò che accade fuori.
È per questo che l’incoscienza, quando diventa sistemica è devastante. Perché nessuno si sente più responsabile di nulla. Ed allora accade che si trattino le persone senza cura, che si affrontino problemi con leggerezza, senza comprenderne la portata.
Io mio parere personale , conclusivo
In conclusione, l’incoscienza è la rottura di un patto tra l’individuo e il contesto. È vivere come se le azioni non avessero conseguenze, come se gli altri non esistessero, come se bastasse essere veloci, brillanti, reattivi per sopravvivere.
Ma vivere è un’altra cosa.
Vivere è creare senso. E per farlo, bisogna prima tornare presenti.
MV
Approfondendo questo argomento mi è salito in mente il famoso detto : Opposti si attraggono....come paura e coraggio....come dolore ed incoscienza. Penso c'è anche questo il lato oscuro per culmare il male un analgesico che può dare il sollievo immediato. Dolore è la radice dell'innocenza ma per le persone deboli ed impreparati. Come si può curare la ferita? Un cerotto classico ma per la ferita interiore non basta...Quindi se riusciamo ad ascoltare il dolore trovando la radice posiamo vedere la luce che esce dalla ferita.