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La verità una volta si cercava, oggi si scrolla


Da Platone a TikTok: la fine del pensiero lungo





Chi, come me, è cresciuto tra le prime chat, i videotex, i forum e le BBS, ha visto cambiare tutto. Ho visto Internet nascere, passare dall’essere una nicchia per pochi curiosi, a diventare una specie di universo parallelo dove ognuno oggi trascorre una parte della propria vita.

Ma c’è una differenza fondamentale tra ieri e oggi: il rapporto che abbiamo con la verità, la conoscenza, e soprattutto con il tempo che dedichiamo al pensiero.



L’era dei filosofi: pensiero lungo, verità cercata



Una volta il pensiero era lento. Platone scriveva i suoi dialoghi per essere letti e riletti. Socrate faceva domande e aspettava risposte. La verità era un percorso, non una risposta rapida. Cercarla voleva dire faticare, interrogarsi, mettersi in discussione. Il pensiero aveva bisogno di silenzio, di tempo, di attenzione.

Anche nell’epoca dei libri, leggere era un esercizio di pazienza. Non bastava girare una pagina, dovevi entrarci dentro, ragionare, mettere in discussione tutto.



Dal libro al byte: le prime ondate digitali



Quando sono arrivati i primi computer, la curiosità era la stessa dei filosofi: volevamo capire, volevamo scoprire. Ricordo i pomeriggi passati davanti a un monitor nero con scritte verdi, dove ogni parola pesava.

Con i primi modem, con la lentezza delle connessioni, ogni domanda aveva ancora il suo tempo. Sulle prime chat non si rispondeva subito. Anche le email avevano un loro ritmo, quasi rituale.

Cercavamo, scavavamo, magari con Altavista o Yahoo, poi con Google. La ricerca era una strada, non una slot machine.



L’arrivo dei social: il declino dell’approfondimento



Con i social network qualcosa è cambiato.

Facebook ci ha abituati a vedere tutto insieme: pensieri, emozioni, notizie, bufale, pubblicità. Ma almeno, all’inizio, scrivevi post più lunghi, discutevi.

Poi sono arrivati i “like”, i commenti veloci, le condivisioni compulsive.

Twitter ha ridotto il pensiero a 140 caratteri, costringendoci a tagliare, a semplificare, a scegliere solo lo slogan, mai il ragionamento.



La rivoluzione dello scroll: informazione usa e getta



L’arrivo di Instagram, di TikTok e delle Stories ha segnato il punto di non ritorno.

Oggi non si legge: si scrolla.

L’attenzione media è scesa sotto i dieci secondi.

Ogni video, ogni foto, ogni frase dura il tempo di un respiro.

La verità non si cerca più: si trova per caso, tra un meme e uno spot.

Si rincorrono emozioni veloci, indignazioni lampo, battaglie che durano ventiquattro ore, poi si passa oltre.

La verità diventa un’opinione tra le altre, scelta solo perché “fa engagement”, non perché abbia un senso o una base solida.



Perché ci siamo arrivati?



Colpa della velocità.

Colpa della quantità.

Colpa di una società che premia chi urla, chi appare, chi semplifica.

Viviamo in un’epoca in cui “più” vuol dire “meglio”: più followers, più visualizzazioni, più reazioni, più titoli.

Ma tutto questo ha un prezzo: il pensiero lungo scompare.

Non c’è più spazio per la domanda vera, per la fatica del dubbio, per la profondità.

La verità viene messa in fila insieme alle fake news, ai video virali, alle foto ritoccate.



La mia esperienza: tra due mondi



Io sono cresciuto con la tecnologia, ma non sono nato nel digitale.

So cosa vuol dire aspettare una risposta, rileggere una frase, tornare indietro su un concetto difficile.

Ho visto le persone imparare a pensare, sbagliare, riprovare, argomentare.

Oggi vedo tanti ragazzi che sanno tutto e niente, che hanno visto mille video ma non ricordano una sola idea.

Non è colpa loro: è il mondo che è cambiato.

Siamo passati dal pensiero lento al pensiero liquido.

Da Platone a TikTok, la verità si è accorciata.

Ma resta una scelta: ognuno può ancora decidere se accontentarsi dello scroll o fermarsi a cercare davvero.



E ora?



Non credo che sia tutto perduto.

Penso che ci sia ancora spazio per chi ha voglia di approfondire, per chi si annoia della superficie, per chi non si accontenta della risposta più veloce.

Il futuro sarà di chi sa usare la tecnologia senza esserne usato.

La differenza, oggi, la fa chi si ferma.

Chi decide di non scrollare, ma di cercare.

Chi, davanti a mille notizie, ha ancora il coraggio di farsi una domanda in più.


Siamo arrivati a un bivio che non riguarda solo la tecnologia, ma la qualità stessa della nostra vita sociale.

Questa cultura dello scroll veloce ci sta cambiando più di quanto pensiamo. Ci abitua a relazioni superficiali, a opinioni preconfezionate, a scelte rapide, spesso poco meditate. Ogni giorno, quello che non approfondiamo nella rete rischiamo di replicarlo anche nella realtà: ascoltiamo senza sentire, vediamo senza guardare davvero, giudichiamo senza capire.


Il pericolo più grande è perdere la capacità di ascoltare l’altro, di dialogare, di lasciarci mettere in discussione. In una società dove tutto si consuma in fretta, anche le persone diventano “contenuti”: si scartano con un gesto, si “scrollano” via, si dimenticano. E la conseguenza è la solitudine, anche in mezzo a mille connessioni.


Per questo serve rallentare. Serve tornare a dare peso alle parole, spazio ai silenzi, valore alle domande scomode.

Abbiamo bisogno di luoghi (anche digitali) dove si possa tornare a pensare insieme, a confrontarsi senza fretta, a riscoprire il piacere della profondità e non solo la fame di novità.


Non è nostalgia del passato. È una necessità umana. La velocità può essere un alleato, ma solo se impariamo a governarla. Se non recuperiamo il senso del tempo, dell’attesa, della riflessione, rischiamo di vivere una vita a metà: sempre aggiornati, mai veramente presenti.


Se davvero vogliamo cambiare, dobbiamo iniziare da qui: dalla voglia di capire, di fermarsi, di ascoltare chi abbiamo davanti.

La verità, quella vera, non arriva con un tap.

MV

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