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Immagine del redattoreMassimiliano Valente

Parthenope di Paolo Sorrentino: un tentativo fallito di ritrarre Napoli tra blasfemia e vanità

L’ultimo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, presentato con grande attesa al Festival di Cannes 2024, si è rivelato una delusione per molti, con critiche che vanno oltre l’estetica e colpiscono la sua visione complessiva. Più che raccontare Napoli, Sorrentino sembra aver costruito un’opera per mettere in scena se stesso, distaccandosi dai tratti autentici della città e scegliendo di dare spazio a elementi di blasfemia e violenza gratuita.


Un’estetica invasiva che sovrasta il contenuto


Parthenope si presenta come un’opera visivamente ricercata, ma è proprio questa ricercatezza che finisce per sovrastare ogni tentativo di narrazione autentica. La bellezza delle inquadrature e la precisione delle scenografie non riescono a compensare l’assenza di coerenza narrativa. Sorrentino sembra ossessionato dall’idea di emulare il maestro Fellini, ma lo fa in modo eccessivo e forzato, rischiando di trasformare ogni scena in un esercizio di autocompiacimento visivo. È come se si fosse perso nella sua stessa grandiosità, ignorando il bisogno di raccontare qualcosa di reale e tangibile.


Passaggi blasfemi e una brutalità gratuita


Uno degli aspetti più problematici di Parthenope è la presenza di scene che non solo risultano distanti dalla realtà napoletana, ma che sfociano in un’eccessiva blasfemia e brutalità. Alcuni passaggi sembrano pensati più per scandalizzare che per servire la storia, con momenti di irriverenza verso simboli e credenze che si avvertono come forzati e inutili. Questo tentativo di creare una “morale dubbia” attraverso provocazioni fini a se stesse tradisce una mancanza di rispetto per il contesto culturale in cui il film è ambientato, risultando più provocatorio che riflessivo. Il rischio di cadere nel sensazionalismo è evidente e fa sì che molte scene si allontanino ulteriormente dal vissuto autentico della città.


Una Napoli irriconoscibile e astratta


La Napoli di Sorrentino appare spogliata della sua essenza, una città congelata in uno sguardo distante e quasi dispregiativo. La brutalità e il pessimismo con cui viene ritratta sembrano più una proiezione personale che una rappresentazione reale, priva del calore, della vitalità e delle sfumature che caratterizzano il popolo napoletano. Più che celebrare Napoli, Sorrentino la trasforma in un palcoscenico su cui inscenare le proprie ossessioni, ignorando le sue complessità e riducendola a un mero fondale per scenografie patinate e sterili.


La ricerca del “grande maestro” e l’autocompiacimento


Il desiderio di imitare Fellini, quasi venerandone lo stile visionario, si traduce qui in un’operazione manieristica che manca di profondità. Sorrentino sembra voler creare un film ambizioso, ma finisce per ingannarsi con una visione di sé che non tiene conto della misura e del contesto. Gli elementi estetici diventano fini a se stessi, come se il regista avesse perso il senso del reale, avvolto dalla propria immagine di “autore”. Piuttosto che innovare o portare una visione autentica, Parthenope appare come un’opera prigioniera del suo autore, un esercizio di stile che tradisce una mancanza di sostanza.


Conclusione: un film che non riesce a coinvolgere


Parthenope si allontana dal suo pubblico, con un’estetica invasiva e scene provocatorie che non servono il racconto. La presenza di elementi blasfemi e di una brutalità gratuita, uniti a una narrazione frammentaria e distaccata, rendono l’opera difficile da apprezzare. Invece di rendere omaggio a Napoli, Sorrentino sembra aver creato un tributo alla sua stessa figura di regista, sacrificando la realtà e il cuore della città per inseguire una visione egocentrica e scollegata dal vissuto comune.

MV

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